L’invito di Catherine

L’invito di Catherine

Il messaggio aveva sorpreso Catherine in tutto. Svegliata all’alba per il solito jogging, aveva trovato il testo ad attenderla da qualche ora. Una mail, sulla casella della galleria. Poi il testo, troppo laconico e informale per un contatto di lavoro.

“Sarò in città per qualche giorno, mi farebbe piacere rivederti.”

Una frase semplice, che le aveva fatto pensare a qualche amica di passaggio.

Il nome le confermò l’errore. Antonio S. Quelle lettere familiari, aspettavano educate tre righe sotto l’invito. Antonio. Ne aveva incontrati di Anthony, di Tony, e anche un certo Antoine. Per lavoro, tra amici o per caso. Ma Antonio, quell’Antonio, era qualcosa di così distante che si era dimenticata fosse mai esistito. Antonio; Antonio S. La sequenza apriva la porta di una stanza in cui non entrava da tanti anni e Catherine non era sicura di volerci tornare.

L’aria fredda le induriva il volto mentre il passo prendeva il ritmo tra i sentieri del parco. Un leggero stretching e aveva preso la sua andatura di sempre: lenta all’inizio, per risvegliare il corpo; più sostenuto dopo qualche giro, mentre il sole cambiava i tratti alla città.

Tornata a Londra, correre era diventata una necessità. La distensione di cui aveva bisogno per riprendere il controllo sulla sua vita. Tre volte a settimana. Un fastidio che non amava per niente; una cura di cui sentiva i benefici. Col tempo, aveva formato un’abitudine a cui non voleva rinunciare. Non lo aveva fatto dopo sposata, né dopo aver aperto la sua galleria. Dopo la separazione, era l’impegno di ogni mattina, pioggia o neve che ci fosse.

Il sole era impietoso sulla sua pelle di ragazza del nord. Tre giorni le erano bastasti per rendersi conto che il suo italiano non era adeguato a farsi capire in farmacia, nonostante le conversazioni col nonno. Aveva risolto con un Panama che - se confermava la sua aria da turista -, almeno si adattava all’eleganza del bermuda Siena bianco, che le scopriva le ginocchia snelle, ondulando ad ogni passo. Le origini del Rinascimento e materne l’avevano convinta che i suoi studi in Storia meritassero un periodo toscano.

Catherine era rimasta ad attendere la sua amica davanti al Duomo, in attesa della partenza del Palio. La folla che sciamava verso Piazza del Campo l’aveva fatta desistere e si era decisa ad entrare nella chiesa.

Tra le opere, il suo sguardo si era fermato su un giovane che, carboncino alla mano, stava copiando le tre grazie su un piccolo blocco da disegno. Mostrarle il disegno e sorriderle era stato un attimo. L’opera lasciava a desiderare. Il sorriso, solare e sincero, no.

Antonio era in visita come Catherine. Fiorentino, studente di architettura, non era mai stato a Siena. “Montaperti è ancora un sconfitta fresca.” Catherine era divertita dal fatto che una battaglia di otto secoli prima fosse ancora viva nella storia delle due città.

“È viva nelle tradizioni. E nell’arte che la rappresenta.” Aveva sentenziato, tacendo dell’orgoglio delle due città.

Mostrarle la Porta del Cielo e la vista della città dall’alto, grazie alla compiacenza di un impiegato della fabbrica, fecero il resto. Catherine lo avrebbe seguito dovunque. Anche dopo che Antonio le aveva rivelato che, probabilmente, la sua amica l’aveva aspettata a lungo davanti al battistero, all’altro lato del Duomo. I turisti di solito si perdevano in questo modo.
I mesi successivi furono brevi ma intensi. Fatti di intercity persi all’ultimo minuto, di camere di fortuna da amici di amici e di discorsi a fissare il soffitto. Antonio aveva gioco facile a parlarle di bellezza. Dell’architettura come omaggio alla natura. Quando i suoi pensieri si perdevano, citava qualche genio del passato, spesso in modo creativo.

“Potrei passare a storia dell’arte e restare qui.” Aveva proposto Catherine qualche mese dopo della festa di San Valentino. L’entusiasmo si era arenato nel tempo che Antonio aveva preso per rispondere. Lei sarebbe rimasta. Per lui era il momento di andare. La sua vita sarebbe stata in Toscana, sì. Ma dopo qualche esperienza estera. La Toscana era il centro del mondo, di questo ne era sicuro, ma anche la periferia andava vista. Ci scherzarono, fino a che smise di divertirli. Alla fine, fu Catherine la prima a tornare a casa.

Abbiamo un vernissage tra due giorni. L’indirizzo è sul sito, vieni se vuoi.” Rispondere le era costato un viaggio tra immagini che credeva dimenticate, ma avrebbe fermato tutte le altri in arrivo. Forse.

Quella che Antonio aveva scorto tra la folla era la figura slanciata di un ricordo lontano quanto la gioventù. Una donna elegante, dai capelli grigi e curati, vestita di bianco. Bianca la camicia, i cui bottoni di bronzo richiamavano la collana lasciata in vista da un colletto ampio. Bianco il morbido pantalone cipresso, le cui pieghe correvano dritte e sicure lungo le gambe. Negli anni, aveva immaginato come l’avrebbe rivista. Si era domandato cosa le avrebbe fatto il tempo e in cosa avrebbe potuto trovarla cambiata. Quello che stava vedendo, era l’evoluzione naturale della ragazza che aveva amato. E Antonio ne era consapevole. Più originale di ogni idea che si era fatto; più vera di ogni immagine che conservava. Catherine.

In piedi, a fianco a una Natività, Catherine si era accorta dell’uomo che la guardava con occhi di un’altra età. Prese congedo con garbo e si avvicinò, con una sicurezza che non pensava di avere. Il sole della Toscana risplendeva nell’oro dei quadri e negli occhi di Antonio.

“Ciao Catherine” le disse dopo un tempo che sembrava infinito. “ho perso il treno.”