La scelta di Victoria

La scelta di Victoria

Le corde ondeggiavano ancora che era un piacere. Ogni spinta riportava a Victoria il ricordo della sorpresa che il nonno le aveva fatto da bambina. Della prima estate che era andata a trovare la sua famiglia in Val d’Orcia. Del caldo che sbiadiva i campi e delle stradine polverose. Della nonna, che le raccomandava di fare attenzione.

“Più in alto mamma”, la esortava Mathilda.

Insoddisfatta degli sforzi del fratellino, aveva persuaso Victoria a prendersi una pausa. Con sua mamma era come volare. L’altalena saliva quasi fino a farle paura, ma era quello che voleva per sentirsi grande come Thomas.

“Fino al ramo” continuava a ripetere, stringendo le corde più forte del solito.

Con le guance arrossite per lo sforzo, Victoria si era sorpresa di quanto fosse ancora solido il suo gioco preferito. Pioggia e sole non avevano fiaccato il legno nodoso dell’asse su cui, tanti anni dopo sedeva Mathilda. Le funi ruvide, che da bambina non riusciva a cingere, suonavano ancora con un cigolio ritmico. Su e giù. Decollo e atterraggio. Solo il ramo si era fatto più serio e aveva smesso di oscillare come un tempo.
Un soffio di vento riportò Victoria indietro dal suo viaggio nella memoria. In quei giorni, il sole era tornato a scaldare il giardino e le gemme sui rami erano prossime a sbocciare. Non era ancora il tempo del solo maglione.

Nella sala da cui l’aveva scovata Mathilda, l’aspettava uno schermo acceso sulla presentazione che stava preparando. “Il report!”, tornò a pensare Victoria lasciando continuare i bambini con il loro divertimento. In casa, il suo telefono aveva ripreso a squillare dalla tasca destra del suo trench Isveita candido. La voce della sua collega le confermava i dati ambientali su cui aveva chiesto una verifica. Le cifre le erano sembrate troppo alte per essere vere. “L’impatto è innegabile, lo sapevamo. Te ne parlo al ricevimento”, concluse Victoria spegnendo il pc. Con misurato tempismo, la mano che Michele le appoggiò sulla spalla le ricordava che era il momento di andare.

Il ricevimento era in una villa fuori dal paese. Un ritrovo informale, dove Michele aveva l’abitudine di incontrarsi con i colleghi dello studio. Avvocati e commercialisti, che con la passione del buon vino si ritrovavano appena il lavoro lo permetteva. All’inizio, Victoria aveva avuto l’impressione di un club ristretto, perso tra le colline senesi, fatto di amici di vecchia data. Per lei, che il lavoro portava a viaggiare spesso, adattarsi a quei ritmi non era stato facile.

Sul selciato della villa, le auto erano più del solito. Avvicinandosi, Victoria aveva scherzato con Michele, ripetendo i nomi dei proprietari e delle loro consorti. Nessuna sorpresa sugli abbinamenti. Neanche per le vetture nuove. Michele era stato al gioco e lei gli si era appoggiata al braccio. Le luci del tardo pomeriggio avevano rischiarato le loro figure all’ingresso e li avevano ritrovati nel giardino posteriore, dove gli invitati li attendevano.  

“Tuo marito mi ha raccontato del tuo lavoro sulla sostenibilità della moda. Sembra interessante.” Le chiese un collega del marito in completo blu dirigenziale.
“Lo è. Non pensavo di arrivare a queste conclusioni.” disse Victoria, infilando le mani nelle tasche. L’oscillazione del bavero morbido e sinuoso del trench bianco aveva sottolineato la frase con una sfumatura di sincera serietà.
“…e quindi dovremmo tornare a cucirci i vestiti dai sacchi di iuta…” la provocò Roberto.
“Niente affatto, solo conoscere i problemi di un ricambio continuo.”
“Io” continuò Roberto, “cambio auto, pc e telefono ogni anno. Leasing e via. Sempre aggiornato, sempre efficiente. Anche per i consumi.”
“Sì, è un approccio anche quello. E forse per la tecnologia è il più appropriato. Ma per la moda è diverso. La corsa del fast fashion non va verso la migliore qualità. Au contraire.”  Rispose Lorenza, che si era aggiunta alla conversazione.
“Infatti”, replicò Victoria. “milioni di capi sono consumati ogni anno. Letteralmente consumati, perché fatti per durare poco e con materiali sintetici, che fatichiamo a smaltire. Il paradosso,” continuò dopo una pausa per sottolineare il valore delle sue parole “è che così i vestiti durano troppo poco quando ci servono e troppo quando non ci servono più.”
“Qual è la direzione allora?”
“Quella che abbiamo sempre avuto davanti. Qualità. Come quella di questo vino che ci hai offerto, e di questo soprabito, in slow fashion.” Disse Vittoria con malcelato orgoglio. “la qualità degli ingredienti, come quella dei tessuti. Per questa bella serata, non ci servono più di un paio di bicchieri a testa, ma che siano buoni!”
“E per fare bella figura, ti basta questo trench.” Ironizzò Roberto.
“Bello, vero? Mi è piaciuto subito. Me lo hanno prodotto su ordinazione, quindi niente sprechi. Seta e cotone, niente microplastiche. Qualità che duri, non quantità da buttare: è questa la direzione. E sì, è così che io voglio fare bella figura.” Concluse Vittoria con un sorriso, prima di far risuonare il suo bicchiere su quello di Roberto.