“Dovresti deciderti a raggiungermi.” La proposta di Catherine non era arrivata inattesa. “A Londra, una persona con le tue qualità si troverebbe molto bene.” Se c’era una cosa che Catherine aveva sempre avuto, era un debole per incoraggiare le persone a seguire i propri sogni. L’idea di trasferirsi aveva sfiorato Rebecca più volte dopo l’ultimo incontro con la zia, all’inizio dell’autunno. Con la fine dell’inverno, quello che aveva considerato come un piacevole desiderio di fuga era tornato a farsi vivo.
“Ma la mia vita è qui, e ne sono contenta.” Ripeteva a sé stessa, consapevole dei propri sentimenti per la terra che l’aveva vista crescere. Ma quell’offerta le era tornata in mente, prima di rispondere all’invito a cena.
Il lavoro come restauratrice era arrivato poco dopo l’abilitazione. Quello per i colori caldi era un’affinità che Rebecca aveva sviluppato nel tempo passato alla pinacoteca. L’arte le aveva insegnato a vedere oltre la superficie, a cercare la storia celata dietro ogni pennellata. Dai gialli all’ocra, tutte le sfumature che illuminavano le opere della scuola senese. In pochi anni si era guadagnata la fiducia nello studio. Decidere come operare sul primo quadro affidatole era stato un compito di grande responsabilità, che aveva portato a termine egregiamente. La soddisfazione di veder riemergere le immagini vivide e originali sotto strati di tempo era stata incomparabile. Un lavoro fatto di concentrazione e gesti attenti, per riportarle allo splendore originario. China sull’opera, il mondo esterno smetteva di esistere.
Dopo la relazione con Roberto, si era dedicata anima e corpo alla sua professione. Ora, con l’allungarsi delle giornate il suo bisogno di riemergere alla vita iniziava a farsi sentire. La primavera era un richiamo troppo potente per essere ignorato, un invito alla rinascita che risuonava in ogni angolo del suo essere. La stessa luce del sole, con la quale controllava le imperfezioni delle tele, la chiamava all’aria aperta. Rebecca se ne era davvero resa conto in un pomeriggio di marzo. Come ogni anno, la natura si era data appuntamento per un cambio di abito, pronta a celebrare la stagione del rinnovamento.
Adagiato con cura sul letto, il nuovo vestito Terra di Siena si faceva ammirare in tutto il suo splendore. Un abito di seta lungo, con scollo incrociato e un elegante spacco. Sopra le lenzuola candide, il colore ambrato del vestito irradiava la stanza. Rebecca rimase un tempo indefinito a godersi quel momento, contenta di aver dato ascolto alle sue amiche, che avevano insistito tanto per l’acquisto. “Hai voltato pagina, Rebe. È la scelta giusta.” Le aveva ripetuto Antonella.
“Sicura che sia la scelta giusta?” Si era sentita chiedere una mattina, quando curva su una cornice cercava di valutare come intervenire sulla polvere di una tela.
“Credo di sì, ma non penso si accorgerebbero della differenza.” Aveva risposto distrattamente, prima di accorgersi di parlare ad alta voce.
“Alla peggio, ci appenderemo un poster in sala.” La voce era quella di un uomo alto, occhi verdi e capelli scuri. Il suo sorriso era il modo più elegante per uscire dalle gaffes. La tela, una festa del raccolto, era rimasta per anni nella casa di campagna dei nonni, tramandata nei racconti da chissà quante generazioni. Per Marco, il suo valore era prima di tutto affettivo, e farla restaurare era un omaggio alla loro infanzia, le aveva poi spiegato.
Tornare alla villa di Catherine, era un viaggio nei ricordi per Rebecca. Ogni parte di quel paesaggio le tornava familiare, anche dopo anni. Indosso, il vestito era il miglior complimento per la sua figura. Ogni movimento, la danzava del tessuto sottolineava i suoi passi; un'armonia visiva che catturava gli sguardi di chi la circondava. Dalle spalline, la seta scendeva delicata sul corpo. L’incrocio sotto il collo continuava in un lungo scollo posteriore, che evidenziava la schiena nuda di Rebecca. Una scelta elegante per la cena che Catherine aveva organizzato con un po’ di amici per la riapertura della casa.
La villa, un piccolo gioiello rustico nascosto tra le dolci colline toscane, era il palcoscenico perfetto per una serata. Due vecchie giare facevano la guardia al tavolo con i calici di vino. Le risate e i discorsi degli ospiti si mescolavano al fruscio delle foglie, creando un concerto di suoni della natura. Dal patio, che aveva preso a riempirsi di ospiti, la vista si perdeva tra campi e boschi. Il verde delle foglie acerbe si alternava ai fiori di marzo. Violette e calendule nel giardino che ornava un fianco della villa; un glicine e una magnolia nel lato opposto. Un odore, ancora tenue per la stagione, si spandeva nell’aria dal tardo pomeriggio.
Rebecca, con un sorriso radioso, si muoveva tra gli ospiti con la grazia di chi sa di essere al posto giusto. Il tepore della serata le accarezzava la pelle. Il bottone in bronzo battuto che sobbalzava sullo spacco della coscia rifletteva la luce calda del tramonto. Incise, due lettere ornavano il vestito.
“MB, le mie iniziali.” La provocava una voce familiare, mentre le porgeva un calice di vino. “Catherine mi detto che ha dubitava saresti venuta. Con quel vestito, oggi mi hai sorpreso due volte.”
“Il camice lo indossiamo solo sul lavoro.” La risposta venne naturale a Rebecca. “Eh, sì. Il cameo è una delle qualità del vestito. Per il quadro, temo ci vorrà più tempo del previsto.”
“Non preoccuparti, so che farete un ottimo lavoro. È una scusa per tornare a trovarti.” L’ultima frase tradiva la sincerità di Marco. Prima dell’ultima parola, una punta di insicurezza si era insinuata tra pensarla e dirla. Di fronte a quell’immagine di vestale, la confidenza del primo incontro vacillava, la sua attrazione no.
Sollevato al punto giusto, il calice di vino aveva mascherato l’accenno di sorriso di Rebecca. Sulla sua schiena, le scapole si corrugavano in un’armonia viva. “Andremo all’estate, mi sa.” Disse, con la voce di chi sa come funziona il gioco.